SCIENZE DELLE FINANZE
INTRODUZIONE
Mi propongo di evidenziare come sia cambiata la Mafia ai giorni nostri, quale sia la nefasta influenza esercitata sulla Spesa pubblica e le implicazioni con lo stato sociale, partendo da un ‘intervista della trasmissione “Servizio Pubblico”, fatta da Michele Santoro al Procuratore della Repubblica Roberto Scarpinato, il 5 marzo del 2015. Come di consueto, parlando di mafia intendo riferirmi a tutte le forme di mafia presenti sul nostro territorio e non soltanto a quella siciliana.
LA NUOVA MAFIA
La mafia tradizionale si è sempre alimentata di spesa pubblica, la quale è stata spesso e sfrontatamente manipolata da alcuni dipendenti statali e da falsi imprenditori. La riduzione della spesa pubblica, che interessa i nostri giorni ha avuto effetto anche sulla mafia popolare, generando problemi di finanziamento nell’organizzazione. Nell’odierna realtà economica molte piccole imprese sono fallite e quelle che sopravvivono lo fanno con difficoltà.
La mafia incontra oggi maggiori problemi nel finanziare le proprie attività criminali appropriandosi dei finanziamenti pubblici o utilizzando le consuete estorsioni a danno degli imprenditori rimasti. In altre parole la mafia non può più contare sullo sfruttamento dell’economia assistita dalla spesa pubblica.
La mafia ha quindi dovuto modificare in certa misura le proprie attività, diminuendo le azioni estorsive e trasformandosi in una mafia fornitrice di beni e servizi illegali come: stupefacenti, gioco d’azzardo, prostituzione, smaltimento di rifiuti. Una vera innovazione criminale.
La nuova mafia, particolarmente nel Nord del nostro paese, non sfrutta più l’intimidazione dei commercianti, ma offre loro servizi più economici di quelli del mercato, anche se illegali. Quindi la mafia evoluta si propone come un’agenzia concorrenziale e conveniente, come nel caso dello smaltimento illegale dei rifiuti.
Scarpinato si sofferma sulle nuove incredibili direttive dell’Unione Europea che, dal 2011, prevedono che nel calcolo del PIL rientri il fatturato derivante dal mercato degli stupefacenti e da quello della prostituzione. Mentre con l’estorsione, strategia adottata dalla vecchia mafia, si sottraevano risorse al ciclo produttivo, con la vendita di stupefacenti e con la prostituzione si offrono servizi remunerati e il flusso monetario così generato s’inserisce nel circuito economico e fa crescere il PIL. È una legittimazione scandalosa, ma che sta cambiando drasticamente il modo di essere della mafia.
In Italia l’economia criminale, cioè i proventi di attività come contrabbando, traffico di armi, smaltimento illegale di rifiuti, gioco d’azzardo, ricettazione, prostituzione e traffico di stupefacenti, vale 170 miliardi di euro l’anno. Per la Guardia di Finanza, nel 2013 il denaro sporco immesso nel sistema economico italiano, valeva più del 10% del PIL e sottraeva 75 miliardi di euro al Fisco.
MAFIA, CORRUZIONE e SPESA PUBBLICA
Oggi la vera zavorra dell’economia del meridione e dell’Italia, non sono tanto le azioni criminali delle mafie, quanto le azioni di “mafiocorruzione”, cioè l’intreccio tra la mafia e il mercato. La Mafia non costituisce soltanto un problema di ordine pubblico, ma incide fortemente sull’economia del Paese sottraendo disponibilità economiche alla collettività, ai servizi, alle opere pubbliche e agli investimenti.
Scarpinato ritiene che, mentre nella Prima Repubblica ci si poteva permette la corruzione, in quanto veniva finanziata con aumenti della spesa pubblica, oggi questo risulta impossibile a causa dei vincoli sulla stessa spesa pubblica, imposti dagli accordi dell’Unione Europea.
La corruzione viene oggi finanziata con tagli dello stato sociale, che portano alla riduzione del reddito dei cittadini con conseguente riduzione della capacità di spesa per i consumi. Il risultato è la contrazione del mercato. Quindi la mafiocorruzione non è solo un fatto morale o giuridico, ma ha effetti macroeconomici e sta aggravando la recessione economica.
Più in generale esiste un effetto deprimente sull’apparato produttivo, perché la corruzione altera la concorrenza tra le imprese ed è collegata a un altro grave reato economico: il falso in bilancio, necessario per accantonare somme in nero da utilizzare come mazzette. Al reato di corruzione sono collegati altri due reati: il clientelismo e il voto di scambio.
Le mafie vogliono che i politici collusi garantiscano assunzioni e appalti. D’altra parte i politici corrotti e clientelari, si aspettano i voti controllati dalle mafie per ottenere la vittoria elettorale.
In altri termini, la corruzione e il clientelismo rappresentano il terreno di incontro tra mafie, politica e pubblica amministrazione, nonché, per le mafie, la porta d’ingresso negli enti dello Stato. Clientelismo, affarismo e corruzione rendono gli apparati dello Stato permeabili e condizionabili alle richieste delle famiglie mafiose. La triangolazione mafia – politica – pubblica amministrazione , si avvale sempre di corruzione, clientelismo e voto di scambio.
Ho letto che il magistrato Camillo Davigo dice che la corruzione è un “reato a vittima diffusa”, nel senso che nessuno percepisce di essere danneggiato direttamente, ma gli effetti sono devastanti. La corruzione, compresa quella indotta dalla mafia, distorce la redistribuzione del reddito operata dalle decisioni di politica economica; impedisce o limita gli investimenti e i servizi verso la collettività, dirottando la ricchezza verso le casse delle organizzazioni mafiose, invece di utilizzarla nel pubblico interesse.
MAFIA e STATO SOCIALE
Nel corso dell’intervista è stato anche sottolineato come il ridursi dello stato sociale (assistenza, sussidi, lavoro) stia alimentando la nascita d’iniziative mafiose che tentano di sostituirsi a quelle dello stesso stato sociale.
Aggiungo la riflessione che la criminalità organizzata si propone spesso di diventare il punto di riferimento della vita sociale ed economica della gente, perché ha compreso l’importanza di ottenere il consenso della popolazione, manifestando disponibilità nei loro confronti, per garantire i propri interessi.
Ascoltando e soddisfacendo bisogni ed esigenze, la mafia cerca il consenso, rimpiazzando l’assenza dello Stato, per raggiungere in realtà fini illeciti, contro l’interesse della collettività.
Cataldo Motta, Procuratore capo della Repubblica, evidenzia questo fenomeno raccontando che grazie all’elevato grado di credibilità raggiunto sotto il profilo criminale, sono gli stessi imprenditori leccesi che, di loro iniziativa, consegnano somme di denaro a “titolo di pensiero” alle organizzazioni mafiose.
La Commissione parlamentare antimafia, attraverso la voce del suo Presidente (Rosy Bindi), ha sottolineato come la mafia calabrese sia diventata il nuovo welfare del Salento, alternativo allo Stato sociale della Repubblica. A Taranto i mafiosi si sono insinuati nella delusa opinione pubblica, facendosi “amici del territorio”, accrescendo il consenso, diventando in sostanza stato sociale. È in questa apparente forma di soccorso alla popolazione che sono poi reimpiegati i proventi illeciti.
La mafia concede forme di sussidio e lavoro attraverso l’economia accessoria, come quella dei parcheggi e dei servizi di guardiania ai lidi e ai locali. C’è la filiera agricola, con l’accaparramento dei terreni e la sofisticazione dei prodotti, ci sono le sponsorizzazioni sportive e c’è il settore del turismo.
Esiste un welfare parallelo in tutta Italia, a pagarlo sono le mafie. Scendere a patti con i clan garantisce opportunità di reddito, dal lavoro alla casa. Tutte le volte che lo Stato e le istituzioni arretrano, le mafie avanzano e creano consenso sociale.
Così molti preferiscono rivolgersi ai clan, come si fa agli uffici di collocamento. Il mercato della droga garantisce posti di lavoro e permette il controllo del territorio. Le opportunità sono molte, giovanissimi che guadagnano almeno 50 euro a prestazione, pensionati che usano le loro case come deposito della droga per pagarsi l’affitto o disoccupati con la promessa di ottenere una pensione d’invalidità. Ultra ottantenni che diventano pusher in strada o comodamente da casa. E ancora, gestori di locali che arrotondano facendo da “basi di appoggio logistico” dei trafficanti di droga o perché concedono alla mafia d’installare video giochi controllati dai clan, che servono per riciclare i soldi sporchi.
Esiste poi il welfare sulla salute, fatto di tangenti e corsie preferenziali che riduce le liste d’attesa.
Esiste poi il welfare ai detenuti, che serve a pagare gli avvocati, a tenere in piedi le loro famiglie e chi gli sta vicino. Un welfare variabile a seconda dei contesti: si va dai mille euro ai quattromila. Dipende se sei solo o hai famiglia, se spari o vendi droga, se sei giovane o anziano. I clan decidono chi deve avere una casa e chi no. Le stesse banche, quando si tratta di favorire i boss non ci pensano due volte e danno prestiti anche senza nessuna garanzia.
Uno stato sociale di convenienza e che non dimentica di farsi pagare il conto da chi ha inteso affidarvisi.